Alimenti sinergici e contrari ai farmaci antiepilettici: linee guida bionutrizionali
Fausto Aufiero - Marzo 2008
Premessa
Qualsiasi considerazione riguardante l’impiego dell’alimentazione nel campo della patologia umana e, nel caso specifico, delle sindromi epilettiche, presuppone alcune preliminari riflessioni sul concetto stesso di azione terapeutica. Una della tappe, che, nell’evoluzione umana, ha caratterizzato il passaggio dallo stato primitivo alla civiltà è stata senz’altro la scoperta del fuoco, con tutte le sue infinite applicazioni, compresa la cottura dei cibi. Questa considerazione, ben presente già negli scritti ippocratici, sottolinea come la conservazione o il recupero della salute attraverso l’alimentazione sia un dato costante fin dagli albori dell’epoca storica. Sia pure empiricamente, essa costituiva il primo presidio terapeutico.
Oggi si parla sempre di più della necessità di una corretta alimentazione, anche da parte di autorevoli centri di ricerca. Necessità avvertita particolarmente in campo oncologico, neurologico e dismetabolico. Come sempre, la condizione che deve precedere una qualunque ipotesi scientifica è la “necessità”, poiché la scienza costituisce lo sviluppo di un principio che nasce, si osserva e si comprova a partire dalle esigenze umane e dall’esperienza. Nessun discorso formale potrà mai nascere dal nulla. La condizione minima è comunque una interazione tra il pensiero dell’Uomo e la realtà. Ecco perché la scienza è sempre il risultato dello sviluppo di un filone di conoscenza, che potrà avere inizio dalla riflessione su un fenomeno, su un pensiero, su un principio. Tutto lo sviluppo che segue a questo momento iniziale servirà a costruirne, a poco a poco, l’edificio. Se si considera lo sviluppo storico della Scienza, si potrà osservare chiaramente come ogni svolta importante, ogni sviluppo nuovo ha sempre avuto origine da una condizione di necessità, che imponeva la ricerca di una via diversa, sostenuta dallo sforzo di “pensare diversamente”. La Bioterapia Nutrizionale, costituisce un’originale ed innovativa metodica terapeutica che permette, ove non vi siano accertate ed indiscusse situazioni di non ritorno, di ripristinare, con metodi naturali, le normali funzioni fisiologiche di organi ed apparati, utilizzando il potere farmacologico dei singoli alimenti o di complesse associazioni nutrizionali che, in sinergia, intervengano nelle più diverse condizioni di squilibrio o disfunzioni organiche. L’alimento è il primo attore di tutti i processi vitali, da esso si traggono tutte le sostanze essenziali che non siamo in condizione di sintetizzare, le proteine, i sali minerali, le vitamine ed infine tutti gli altri oligoelementi e fattori indispensabili alle complesse reazioni chimiche da cui dipende la vitalità e la vita dell’individuo1 . La Bioterapia Nutrizionale, lungi dal porsi in contrasto o in alternativa alle altre terapie, ha lo scopo di arricchire l’armamentario terapeutico del medico, mediante l’impiego ragionato degli alimenti, sostituendo la casualità irrazionale dell’alimentazione, con un impiego della stessa utile all’Umanità.
Alimento e farmaco
La differenza sostanziale del nutrimento, rispetto ad un veleno, o ad un farmaco, consiste nel fatto che l’organismo vivente è fisiologicamente predisposto ad accettare il primo e difendersi dai secondi. Prova ne sia il fatto che la ricerca farmacologica ha la continua necessità di scoprire modalità di preparazione che veicolino il principio attivo all’interno dell’organismo, riconoscendo e superando gli ostacoli.
La Bioterapia Nutrizionale, oltre allo studio delle proprietà nutrizionali degli alimenti, tende a recuperare il loro antico ruolo terapeutico, ad un livello che non sia più basato unicamente su conoscenze empiriche. Se per terapeutica si intende qualsiasi azione in grado di modificare positivamente e stabilmente una o più funzioni organiche alterate, è necessario delineare le notevoli differenze fra un principio attivo ed un “rimedio bionutrizionale”.
Un farmaco viene concepito come una sostanza che abbia la maggiore selettività d’azione, nel minor tempo possibile, in assenza di effetti collaterali e con risultati terapeutici stabili. Un tale farmaco, ovviamente, non esiste, ma costituisce la meta ideale da raggiungere da parte della moderna ricerca farmacologica. Il singolo alimento, invece, in quanto tale, non potrà mai essere considerato un farmaco che risponda ai precedenti criteri, anche se si volesse tener conto degli effetti dei suoi nutrienti e dei suoi cofattori. L’azione terapeutica, in Bioterapia Nutrizionale, sarà, invece, ricercata:
a) conoscendo le caratteristiche di tutti i cibi sufficienti per comporre un pasto, sia di quelli crudi, sia delle modifiche che intervengono in quelli cotti, a seconda delle varie tecniche e modalità;
b) conoscendo la diagnosi organica e funzionale;
c) conoscendo le caratteristiche individuali del paziente da trattare.
Le precedenti considerazioni hanno costituito nel tempo la base per un impiego razionale degli alimenti nei soggetti affetti da cerebropatie complicate da crisi comiziali, ma anche nelle altre forme di epilessia, tenendo conto del fatto che sono quasi mezzo milione gli italiani colpiti da questa patologia e 25 mila i nuovi casi vengono diagnosticati ogni anno. Neurologi e farmacologi avvertono che l'incidenza della malattia sta aumentando specialmente tra gli anziani e, per indice di prevalenza, rappresenta la terza patologia dopo i disturbi cardiovascolari e i deficit intellettivo-sensoriali2. Le fasce maggiormente a rischio sono i bambini e gli anziani, con questi ultimi in aumento rispetto al passato. Nella nostra esperienza ci siamo resi conto che una alimentazione mirata interviene efficacemente nel migliorare la sintomatologia clinica, prevenire o rallentare la frequenza delle crisi epilettiche, agire in sinergia con la terapia farmacologica, in alcuni casi potendone ridurre i dosaggi, e facilitare la riabilitazione neuro-muscolare nei soggetti che ne abbiano necessità.
Impostazioni generali
Affrontare, dal punto di vista bionutrizionale, il complesso problema dell’epilessia e, in generale, delle sindromi da ipereccitabilità neurologica, presuppone la conoscenza delle caratteristiche strutturali, biochimiche e fisiologiche del tessuto nervoso. La Letteratura degli ultimi decenni evidenzia notevoli progressi nel campo dei neuro modulatori e l’armamentario terapeutico si è arricchito di farmaci in grado di controllare, ridurre o risolvere la sintomatologia clinica dei pazienti affetti da epilessia, migliorandone le condizioni e la qualità di vita. Tuttavia, la fisiopatologia e le conoscenze relative ai fattori predisponenti e scatenanti le crisi di grande male, di piccolo male o delle forme a focolaio restano sostanzialmente quelle già sottolineate dai testi di Fisiologia e Neurologia degli ultimi anni. Infatti, sono sindromi caratterizzate dalla comparsa saltuaria di manifestazioni critiche a carattere convulsivo e di altre manifestazioni critiche motorie, sensitive, psichiche, neurovegetative. Queste crisi possono essere l’unico sintomo di malattia, oppure fare parte di altre affezioni (epilessia sintomatica di tumore encefalico, di encefalite, di vasculopatie cerebrali, di intossicazioni o traumi cranici). Alla base dell’accesso epilettico esiste una ipersincronia parossistica, che è espressione di una ipereccitabilità patologica di aggregati neuronici, documentabile attraverso l’EEG3. Inoltre, è tutt’ora valido che alcuni fattori possono determinare un aumento dell’eccitabilità del circuito abnorme epilettogeno in misura sufficiente a scatenare gli accessi e fra questi fattori vanno ricordati (1) gli intensi stimoli emotivi, (2) l’alcalosi, quale può essere prodotta da iperventilazione, (3) alcuni farmaci, (4) la febbre, (5) rumori intensi o lampi di luce. Inoltre, anche in soggetti che non presentano una predisposizione genetica, lesioni traumatiche che interessino una qualsiasi parte del cervello possono indurre una esagerata eccitabilità di aree cerebrali circoscritte…4 . E ancora, negli animali da esperimento, come anche nell’uomo, gli accessi di grande male possono essere scatenati mediante somministrazione di stimolanti neuronali…, o essere provocati da ipoglicemia insulinica5.
Interessanti, dal punto di vista bionutrizionale, sono anche i fattori che esaltano l’eccitabilità delle membrane cellulari. Per esempio, una bassa concentrazione di calcio-ioni nel liquido extracellulare costituisce una condizione capace di esaltare in modo cospicuo l’eccitabilità… talvolta così accentuata da far sorgere numerosi impulsi spontanei, causando spasmi muscolari6. L’equilibrio ed il ruolo degli elettroliti è stato molto studiato ed approfondito, tanto che durante l’ultima decade si è assistito ad un crescente sviluppo di modelli in vitro, costituiti da fettine isolate di cervello, in cui sono conservate numerose connessioni sinaptiche. Gli eventi elettroencefalografici con caratteristiche simili a quelli registrati in corso di crisi comiziali in vivo, sono stati riprodotti in fettine di ippocampo con molti metodi. Uno di questi si basa sulla modificazione dei costituenti ionici dei terreni di coltura delle fettine cerebrali7, come la riduzione degli ioni Calcio e Magnesio, o l’aumento del Potassio8.
Altrettanto significative sono le alterazioni dell’equilibrio acido-base, in grado di influire sull’attività bioelettrica del tessuto nervoso. Con i termini di acidosi o alcalosi metabolica ci si riferisce a tutti i disturbi dell’equilibrio acido-base dei fluidi organici, che modificano, in un senso o nell’altro, il fisiologico pH 7,4 del sangue. Fondamentale ai fini nutrizionali è, come vedremo, la differente azione sull’attività respiratoria dell’acidosi metabolica e di quella respiratoria. In generale, l’effetto principale dell’acidosi è una depressione del sistema nervoso centrale. Quando il pH del sangue cade al di sotto di 7.0, la depressione del sistema nervoso è tale da provocare prima uno stato confusionale e poi uno stato comatoso9. Tuttavia, nell’acidosi metabolica l’elevata concentrazione di idrogenioni provoca un aumento della frequenza e della profondità del respiro. Al contrario, nell’acidosi respiratoria si ha di solito depressione del respiro, giacché è appunto questa depressione la causa dell’acidosi. Si ha, perciò, l’opposto di ciò che si verifica nell’acidosi metabolica10. Questo dato è fondamentale ai fini del supporto nutrizionale nei pazienti affetti da sindromi epilettiche ed epilettogene, in quanto gli alimenti possono influire in modo significativo sull’acidosi metabolica, ma non su quella respiratoria. L’effetto dell’alcalosi metabolica è esattamente opposto, traducendosi in una condizione di ipereccitabilità del sistema nervoso, tanto che i nervi diventano così eccitabili che scaricano automaticamente e ripetutamente impulsi, anche in assenza dei normali fattori di stimolo… Per esempio, nei soggetti predisposti ad accessi epilettici, una semplice iperventilazione può spesso scatenare l’attacco. In effetti, questo è uno dei metodi impiegati in clinica per saggiare il grado di predisposizione all’epilessia11.
Linee guida bionutrizionali
La valutazione dei citati fattori fisiopatologici implicati nella genesi delle sindromi epilettogene si traduce direttamente in accorgimenti nutrizionali in grado di influire sull’andamento clinico della malattia. Può essere esplicativo tracciare le linee guida principali, prima di passare al commento ragionato di alcune associazioni nutrizionali utilizzate nella composizione dei pasti.
Esclusione degli alimenti eccitanti il sistema nervoso. Nel pieno rispetto del “Primum non nocere” ippocratico, l’alimentazione del paziente epilettico deve essere programmata evitando quei cibi, di cui l’esperienza bionutrizionale ha documentato l’azione eccitante o irritativa a carico del sistema nervoso centrale. Si riporta integralmente il paragrafo riguardante i formaggi e l’epilessia presente in uno dei nostri testi:
Il formaggio, come già detto ampiamente, ha effetti molto importanti sul sistema nervoso, nel senso che eccita e mantiene vigili. Nell’epilessia, qualunque ne sia l’origine, il sistema nervoso ha una maggiore suscettibilità, tanto che la crisi può essere scatenata da mancanza di sonno, eccessive sollecitazioni visive, febbre elevata, ma anche da importanti variazioni metaboliche, prime fra tutte le oscillazioni della calcemia. Le variazioni dei livelli sierici del calcio sono da temere particolarmente nelle epilessie infantili e giovanili. Una crisi comiziale può manifestarsi anche dopo sudorazioni profuse, modificazioni ormonali, diarree. Il formaggio diventa allora un alimento importante, da proporre però con cautela, a causa di una concomitante azione di eccitazione sulla conducibilità neurologica, dovuta all’eccesso in sali e a sostanze quali la tiramina e la taurina. Nella dieta del soggetto epilettico non va mai incluso un formaggio molto fermentato, soprattutto in quantità abbondante e di sera. Il pasto serale deve avere come scopo una induzione del sonno, quindi deve calmare la funzione tiroidea, produrre un effetto miorilassante e sedare il sistema nervoso centrale.
Pertanto, si possono utilizzare formaggi teneri e semi-dolci, tipo la groviera e il fior di latte, perfino il burro e la ricotta, i quali forniscono una quota di calcio che migliora la conduzione nervosa, senza irritare ulteriormente il sistema nervoso. Si possono dare primi piatti quali: pasta burro e parmigiano; pasta condita solo con caciotta, senza altri veicoli grassi; pasta e ricotta o supplì di riso, soprattutto se associati a verdure ricche di potassio, come zucchine, fagiolini, agretti. Lo scopo è quello di ottenere un’azione miorilassante, fornendo una quota di zuccheri e di calcio non associata a troppi sali. In alternativa, il formaggio, in quantità ancora più esigua, può entrare nella composizione del secondo piatto: fiori di zucca fritti in pastella ripieni di mozzarella; zucchine al forno con mozzarella; parmigiana di cardi o carciofi. Di sera non bisogna mai dare il pecorino, oppure una caprese o una fonduta; in questi casi l’effetto stimolante potrebbe avere come risultato l’insonnia o, peggio ancora, diventare esso stesso fattore scatenante la crisi12.
Nel testo citato è possibile trovare le necessarie informazioni riguardanti tutte le altre categorie di nutrienti, segnalando in questa sede alcuni alimenti particolarmente controindicati, in grado di contrastare o ridurre l’effetto terapeutico dei farmaci antiepilettici:
- i funghi, in particolare per l’impegno che provocano a carico del fegato e del rene, organi la cui funzione va tutelata nei pazienti a rischio di ipereccitabilità neurologica;
- il kiwi, può svolgere una notevole azione eccitatoria a causa del suo elevato contenuto in ferro e vitamina C;
- il sedano, il cui contenuto in sedanina irrita le mucose digestive, ma svolge anche una diretta azione di stimolo della trasmissione neurologica;
- i pesci più ricchi di iodio e fosforo, essendo controindicata una stimolazione tiroidea, soprattutto di sera;
- gli alimenti contenenti solanina biodisponibile, come melanzane e peperoni, mentre altre solanacee, come le patate possono essere impiegate senza difficoltà, a patto che non siano germogliate;
- segnaliamo, infine, la nostra esperienza relativa all’impiego della farina di grano, per il suo contenuto di glutine. In effetti, registriamo una riduzione del numero di crisi comiziali e della intensità delle stesse utilizzando farine senza, o con ridotto, contenuto di glutine, come quelle di mais o di camut, anche se non è chiaro se sia direttamente implicato il glutine delle farine di grano, o sostanze aggiunte nella manipolazione commerciale delle stesse.
Equilibrio elettrolitico. Si conosce ampiamente il ruolo del metabolismo del calcio nella fisiopatologia dei fenomeni epilettogeni, oltre a quello di altri ioni come magnesio, potassio, cloro e sodio. Per quanto riguarda il calcio, l’alimentazione di questi pazienti è improntata ad un apporto costante ed equilibrato di calcio, attingendolo non tanto dai formaggi, di cui si è discussa la problematica di impiego, quanto dal latte, dalla ricotta, dal burro o dallo yogurt, almeno nei casi in cui non coesistano intolleranze al lattosio, o allergie. In questi casi si impiegheranno con maggiore frequenza alcuni semi, come pinoli, mandorle, o nocciole, contenenti anche magnesio, o legumi come i ceci, particolarmente ricchi di calcio, oppure verdure come il cavolfiore, o i fiori di zucca. Particolarmente utilizzati sono gli alimenti ricchi di potassio, come zucchina, banana, fagiolini, agretti (barba di frate), o mela cotta, per l’azione miorilassante e decontratturante esercitata da questo ione a carico della muscolatura periferica, in modo da ridurre lo stato di contrattura e facilitare il lavoro dei terapisti della riabilitazione, soprattutto nei soggetti cerebrolesi con epilessia. Il precedente accorgimento nutrizionale sembrerebbe contraddire un dato citato prima, a proposito della maggiore frequenza di crisi comiziali in presenza di eccesso di potassio. La nostra esperienza “in vivo” ci dimostra, invece, il vantaggio clinico secondario all’impiego degli alimenti ricchi di questo ione. Si potrebbe pensare che le condizioni sperimentali possano non corrispondere a quelle effettive della maggior parte dei pazienti, ma l’ipotesi più suggestiva e plausibile riguarda il delicato e dinamico rapporto fra ioni sodio, cloro e potassio a livello della conducibilità di membrana. Tenendo conto del fatto che l’anamnesi bionutrizionale e lo studio accurato delle appetenze espresse dai pazienti epilettici dimostra, nella quasi totalità dei casi, la tendenza a salare gli alimenti più di quanto richiesto dalla maggior parte dei soggetti sani, abbiamo proposto con successo la suzione orale di un chicco di sale marino grosso in presenza della crisi epilettica incipiente, scoprendo poi che tale rimedio empirico era prescritto dai neurologi prima della neurofarmacologia, facendo bagnare la lingua e la mucosa orale del malato con acqua salata, anche in stato di incoscienza del paziente. Probabilmente, l’assorbimento sublinguale di ioni sodio e cloro, passando immediatamente nel circolo sanguigno generale, riescono a riequilibrare in parte il potenziale di membrana alterato, riducendo la sintomatologia, o interrompendo una crisi comiziale in arrivo.
Regolazione nutrizionale delle oscillazioni glicemiche. Una costante attenzione viene rivolta dal Nutrizionista all’indice glicemico dei pasti proposti ai pazienti a rischio di ipereccitabilità neurologica. Si è precedentemente segnalato come l’ipoglicemia insulinica sia in grado di scatenare crisi tonico-cloniche, meccanismo sfruttato un tempo nei reparti psichiatrici come forma estrema di terapia nei casi di schizofrenia. Nel paziente epilettico non si arriva, ovviamente, a queste condizioni di marcato calo degli zuccheri ematici, tuttavia, una condotta alimentare sbilanciata, che provochi continue oscillazioni del glucosio nel sangue, influenza l’attività neuronale e può indurre liberazione di ormoni corticosurrenalici, con aumento dell’eccitabilità nervosa. Nella nostra esperienza con bambini cerebrolesi ci siamo resi conto che i disturbi neurologici da alterazioni glicemiche non dipendono tanto da iperinsulinismo, quanto da ridotta assunzione di alimenti, o da eccessivo dispendio energetico, come avviene nelle sindromi febbrili, con secondario meccanismo di chetoacidosi, esso stesso causa di alterazioni dello stato di coscienza. Infatti, nei bambini (fino a tre anni di età) le convulsioni sono assai più frequenti dell’adulto, essendo facilmente provocate dall’iperpiressia, dall’acetonemia e dalla spasmofilia13.
Metabolismo, equilibrio acido-base ed analisi delle urine. Un mezzo semplice e pratico, utilizzato in Bioterapia Nutrizionale per monitorare l’andamento clinico di una patologia, è l’esame delle urine quotidiano, spesso praticato a domicilio dallo stesso paziente, opportunamente istruito in proposito. I valori urinari che vengono osservati con particolare attenzione dal Nutrizionista nelle patologie neurologiche sono la eventuale presenza di glicosuria e chenonuria, oltre a quelli riguardanti la funzione renale ed il metabolismo generale del corpo, come densità, pH, proteinuria ed ematuria. L’esperienza ci ha insegnato a comprendere preventivamente alcuni segnali di allarme che ci permettono di esprimere una valutazione immediata sul rischio o meno di una crisi comiziale, ancor prima della comparsa dei segni clinici prodromici. Per esempio, la presenza di chetonuria e/o un innalzamento del pH urinario anticipano di 30-45 minuti la comparsa di una crisi, tanto che spesso riusciamo a scongiurarla con l’assunzione orale di alcuni alimenti, o con il banale chicco di sale marino in bocca. L’alterazione degli altri parametri urinari, spesso provocata dagli effetti collaterali dei farmaci antiepilettici, fornisce precise indicazioni nutrizionali per agevolare al massimo il lavoro di detossicazione ed eliminazione svolto, rispettivamente, dal fegato e dal rene. In ogni caso, la preoccupazione costante è quella di mantenere il pH urinario nel valore fisiologico di 5.0, fino a 6.0, vale a dire garantire la costante acidità dell’urina, espressione di efficienti meccanismi eliminativi. Infatti, anche quando il pH dei liquidi extracellulari si mantiene al suo normale valore di 7.4, vi è sempre un’eliminazione di acido, dell’ordine di una frazione di millimole al minuto. Ciò dipende dal fatto che la quantità giornaliera di acidi che si forma nell’organismo eccede quella degli alcali, nella misura di circa 50-80 millimoli. Questo eccesso di acido deve essere continuamente allontanato ed è per questo che, normalmente, nell’urina si ha un pH 6.0 circa, invece di 7.4, come nel sangue14.
Nutrizione del tessuto nervoso. Come ogni altra cellula del nostro corpo, il neurone necessita di una propria nutrizione per svolgere efficacemente le sue funzioni. Una lamina di mielina copre l’assone come un isolante su un filo elettrico. La velocità dell’impulso nervoso è legata alla integrità della guaina e la mancanza di nutrienti che compongono la mielina danno origine ad alterazioni nella trasmissione dell’impulso. Tralasciamo il vasto capitolo degli antiossidanti, di cui si parla forse anche troppo, per i quali si rimanda alla sterminata Letteratura in proposito, come pure il discorso riguardante Vitamine e numerosi micronutrienti che noi attingiamo semplicemente da alimenti come i citati semi, la salvia, utile anche per la sua azione neurosedativa, la borragine, proposta nelle modalità più adatte al paziente in trattamento, l’ortica, o dall’insieme delle preparazioni alimentari proposte. Un discorso a parte riguarda l’apporto di lipidi, fondamentali componenti del tessuto nervoso. In assenza di specifiche controindicazioni, cerchiamo di utilizzare il latte, sia per la colazione del mattino, sia durante la giornata, partendo dal presupposto che la sua quota lipidica è sufficiente, da sola, a garantire lo sviluppo e l’accrescimento del sistema nervoso del neonato durante i primi mesi di vita, e oltre. Inoltre, il calcio presente nel latte, altamente biodisponibile, svolge anche una funzione neurosedativa, contrastando l’ipereccitabilità neurologica. La condizione indispensabile, affinché il paziente si giovi del citato potenziale nutrizionale e terapeutico del latte, è quella di utilizzarlo intero e non scremato, o manipolato nei modi più assurdi. Nella quota lipidica del latte intero, infatti, sono presenti le vitamine A e D. Quest’ultima, aggiunta oggi da molte aziende al latte scremato, viene poco assorbita in mancanza della necessaria quota lipidica. Tuttavia, il danno peggiore perpetrato a carico di un alimento tanto prezioso come il latte è la distruzione di un importante fattore protettivo per la salute, l’acido linoleico coniugato (CLA=conjugated linoleic acid). I ricercatori credono che il vantaggio nutrizionale del latte intero rispetto a quello scremato sia dovuto, non solo al CLA, ma anche ad altri fattori che si trovano sempre nella quota lipidica, come la sfingomielina e i lipidi eterici15.
Una fonte preziosa di lipidi insaturi e polinsaturi è costituita dall’olio extravergine d’oliva, impiegato per tutte le preparazione alimentari e, ove siano reperibili e graditi al paziente, alcuni frutti tropicali, particolarmente ricchi di lipidi, come la papaya, il mango o l’avocado.
Si ricorda, infine, la quota proteica della carne e di alcuni tipi di pesci che è indispensabile inserire, variandoli ed associandoli in modo proprio, per ottenere risultati utili per la patologia in corso, per il sostegno generale dell’organismo e per l’accrescimento, qualora si tratti di piccoli pazienti. Da segnalare che è preferibile l’impiego di carni bianche al posto di quelle rosse, più ricche di ferro, ma più a rischio per i pazienti epilettici, in quanto stimolano la produzione di adrenalina, ad azione eccitante a carico del sistema nervoso, e per l’impegno della funzione renale del paziente, a causa del loro maggiore contenuto in basi azotate.
Applicazione pratica
A partire dalle precedenti linee guida, il Nutrizionista si adopera per adattare le soluzioni alimentari alle effettive esigenze individuali del paziente in trattamento. A volte si tratta di bambini molto piccoli, con patologie neurologiche di vario tipo, nell’ambito delle quali le crisi epilettiche costituiscono solo un epifenomeno. Frequenti le difficoltà di masticazione o di deglutizione, o le intolleranze specifiche ad alcune categorie di alimenti, costanti gli effetti collaterali alle terapie farmacologiche in atto, di cui bisognerà contrastare i danni a carico degli organi vitali e del metabolismo generale del corpo.
Nel caso di piccoli pazienti, di capitale importanza è la disponibilità assoluta della madre nel comporre i pasti quotidiani, prescritti dopo una rigorosa valutazione dei parametri del test urinario e della risposta quotidiana obiettiva osservata nel comportamento e nelle condizioni del malato. Nei casi in cui il trattamento bionutrizionale viene applicato in modo corretto, si verifica una riduzione delle clonie, degli eventi epilettici e delle stereotipie, mentre aumenta la vigilanza e la capacità di concentrazione, con miglioramento del tono, improntato ad una maggiore vivacità. Si inizia con l’introduzione di alcuni degli alimenti ritenuti indispensabili, a cominciare da quelli più facilmente reperibili ed utilizzabili, mentre la madre, o chi si occupa del paziente, inizia a prendere confidenza e padronanza con il metodo, incoraggiata dai risultati immediatamente apprezzabili.
A volte è necessario superare qualche difficoltà rappresentata dai sapori nuovi proposti e dal gusto dei singoli soggetti, oltre che dalla modalità di preparazione. I risultati sono comunque evidenti ed osservati soprattutto dai vari operatori sanitari a cui i ragazzi sono affidati per le varie terapie riabilitative e di supporto. Ambizioso è il progetto di poter ottenere sempre maggiori successi applicando in modo progressivo le impostazioni bionutrizionali discusse nei precedenti paragrafi.
Conclusione
Si riportano, a titolo di esempio, le indicazioni nutrizionali generali fornite alla famiglia di un piccolo paziente, dopo un periodo di trattamento, durante il quale si è cercato di raggiungere il massimo di successo terapeutico possibile.
- Brodo di carne bianca, facendo prima soffriggere leggermente in pentola olio extravergine d’oliva e uno spicchio d’aglio (utile come stimolante il metabolismo, come disinfettante intestinale e come sedativo del sistema nervoso, oltre che per migliorare il sapore del brodo), poi si toglie l’aglio, si aggiunge l’acqua e, a freddo, pezzetti di zucchina, un po’ di cipolla, lattuga tritata. Appena cotte le verdure, si frullano e il brodo si può conservare in congelatore, suddividendolo in porzioni. Di volta in volta, si riporterà ad ebollizione e si aggiungerà pastina di mais, o tapioca, o crema di riso. Importante salare senza eccesso con sale marino fino, utile per la trasmissione neurologica.
- L’aggiunta della patata, utilissima per l’apporto energetico degli amidi e del potassio, deve essere attuata al momento, prima dell’aggiunta della pastina, in quanto la patata, anche congelata, rischia di far sviluppare una flora batterica nel brodo.
- Compatibilmente con l’età e le possibilità di deglutizione del paziente, si potrà usare la patata fritta in olio extravergine d’oliva, scegliendo la varietà a pasta gialla e non quella a pasta bianca. A cottura ultimata, le fettine di patata fritta si potranno anche frullare o schiacciare, rendendole adatte per l’assunzione. Il vantaggio di questo apporto bionutrizionale è molteplice, in quanto la modalità di cottura eserciterà una moderata stimolazione delle vie biliari, facilitando il transito intestinale e l’eliminazione dei cataboliti liposolubili endogeni, compresi quelli secondari all’assunzione dei farmaci. Quando possibile, la patata fritta sarà addizionata da maionese fatta in casa, soluzione nutrizionale preziosa per il tessuto nervoso.
- Utile la ricotta in piccola quantità, per il suo apporto di calcio, da usare come crema, mischiandola al miele e, a scelta, ad un cucchiaino da caffè di pinoli tritati. Oppure da aggiungere alla minestrina, ma alla fine, in modo da non alterare, con il calore eccessivo, il suo delicato equilibrio di proteine e lipidi.
- Se non si manifesta alcuna intolleranza al lattosio, è indicata l’assunzione quotidiana del latte ed un moderato impiego del burro, ricco di calcio, vitamina D e lipidi insaturi, a condizione di non farlo cuocere. Per esempio, aggiungerlo in piccola quantità sulla polenta ancora calda, in modo da farlo sciogliere, rendendo la preparazione più morbida e cremosa, ma soprattutto utile dal punto di vista nutrizionale.
- La polenta (con pura farina di mais) si potrà anche far rapprendere, tagliarla a pezzetti e poi soffriggere questi ultimi in padella con olio extravergine d’oliva, prima di frullarli, in modo da facilitarne l’assunzione.
- Utili le vellutate con maizena e latte, in particolare di cavolfiore, - contenente calcio e moderate percentuali di iodio, di stimolo per il metabolismo, di lattuga, nei casi di maggiore eccitabilità neurologica, di zucca, per un apporto di vitamina A, perfino di sedano, quando necessita sostenere o stimolare il transito intestinale rallentato, tenendo conto che l’effetto eccitante della sedanina sarà antagonizzato efficacemente dai carboidrati della maizena e dal calcio . Qualora fosse possibile, la vellutata di ortica avrebbe una serie di effetti positivi, in quanto l’ortica contiene notevoli quantità di ferro altamente biodisponibili, ma anche elettroliti in percentuale equilibrata, utili per la trasmissione neurologica. Ovviamente si eviterà di raccogliere questa umile e preziosa pianta agli angoli delle strade, preferendo le zone prive di inquinamento. Utilizzando guanti di lattice, si sceglieranno le foglie apicali più tenere, facendole poi sbollentare per annullare totalmente le sostanze urticanti.
- Provare il tuorlo d’uovo, da aggiungere a freddo, nella minestrina o in altre preparazioni, comprese le vellutate, iniziando da una punta di cucchiaino da caffè ed aumentando progressivamente, senza superare il cucchiaino intero. In assenza di reazioni avverse, peraltro rare con uova fresche e genuine, si potrà avere un ritmo di somministrazione di 3-4 volte a settimana.
- Utile la polpa di frutti tropicali ricchi di acidi grassi vegetali, in particolare la papaya, da schiacciare e proporla da sola, mischiata a miele, e/o a banana, realizzando una crema altamente nutritiva, equilibrata per il sistema nervoso e per i metabolismi organici.
Riferimenti bibliografici
1-Dal sito www.bioterapianutrizionale.com
2-Cfr. Salute Europa, “Epilessia: una patologia che colpisce anche gli anziani”, in www.saluteeuropa.it, 2008.
3-Fradà G., Fradà G., Semeiotica medica nell’adulto e nell’anziano. Metodologia clinica di esplorazione morfofunzionale, Piccin Nuova Libraria, 2003, p. 769.
4-Guyton A.C., Trattato di fisiologia medica, tr.Curatolo A., D’Arcangelo P., Piccin Nuova Libraria, 19954, p. 756.
5-Ibidem.
6-Ibidem, p. 133.
7-Cfr. McNamara J. O., “Cellular and molecular basis of epilepsy”, in J.Neurosci., 1994, 14; 3413-3425.
8-Goodman, Gilman, Le basi farmacologiche della terapia, McGraw-Hill, 1997, p. 461.
9-Guyton A.C., op.cit.to, p.512.
10-Ibidem.
11-Ibidem, p. 513.
12-Arcari Morini D., D’Eugenio A., Aufiero F., Il potere farmacologico degli alimenti, Edizioni RED, Milano 2005, p. 39.
13-Fradà G., Fradà G., Op.cit.to, p. 38.
14-Guyton A.C., op.cit.to, p. 510.
15-Cfr. Evans J., “Low-down on low-fat milk”, in WDDTY, Vol. 18, n.1, April 2007.