La dieta mediterranea allunga la vita e protegge da diverse malattie, inclusa la demenza. In particolare, secondo alcuni ricercatori americani della Temple University di Philadelphia guidati dall’italiano Domenico Praticò (in collaborazione con Luigi Iuliano dell’Università La Sapienza di Roma) il consumo costante di olio extra-vergine di oliva (Evo) mette al riparo dal declino cognitivo. Lo studio, condotto su animali, è stato pubblicato su Annals of Clinical and Translational Neurology.
«Abbiamo scoperto che l’olio Evo riduce l’infiammazione cerebrale e soprattutto che attiva un processo chiamato “autofagia”» spiega Domenico Praticò, professore alla Lewis Katz School of Medicine della Temple University. L’autofagia è il meccanismo fisiologico di sopravvivenza che la cellula usa per eliminare o riciclare parti danneggiate o inutili, come appunto le placche amiloidi e i grovigli neurofibrillari.
Per condurre l’esperimento Praticò e colleghi hanno usato dei topi con una forma controllata di Alzheimer, i cosiddetti topi “3xTg-AD” (modello triplo-transgenico). Questi animali sviluppano tre sintomi tipici del morbo di Alzheimer: problemi di memoria, placche amiloidi e grovigli neurofibrillari. Sinapsi integre I ricercatori hanno diviso i topi in due gruppi: uno è stato nutrito con dieta arricchita con olio extra-vergine di oliva, l’altro ha seguito un regime alimentare normale.
L’olio Evo è stato introdotto nei pasti del primo gruppo quando i topi avevano 6 mesi di vita, prima che si manifestassero i sintomi dell’Alzheimer. Le differenze tra i due gruppi sono emerse successivamente: all’età di 9 mesi e un anno, i topi del gruppo-olio Evo hanno mostrato risultati significativamente migliori nei test sviluppati per valutare la memoria di lavoro (a breve termine), la memoria spaziale e le capacità di apprendimento. Inoltre, l’analisi dei tessuti cerebrali nei due gruppi animali ha rivelato profonde differenze nell’aspetto e funzionalità delle cellule nervose. «Una delle caratteristiche che ci ha colpiti di più è stata l’integrità delle sinapsi», ovvero le connessioni tra i neuroni, nel gruppo dei topi nutriti con dose extra di olio Evo, spiega Domenico Praticò.
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Se fritto nell'olio d'oliva il cibo è più sano. A rivelarlo è uno studio pubblicato sul 'Journal of agricultural and food chemistry' dall'American Chemical Society.
La ricerca ha infatti dimostrato che l'olio ottenuto dalle olive riesce a mantenere stabili, in friggitrice e in padella, le sue proprietà alle alte temperature risultando quindi più indicato nelle fritture rispetto agli altri oli comunemente usati.
I ricercatori, guidati da Mohamed Bouazizi, hanno fritto in quattro diversi oli (oliva, mais, soia e girasole) pezzi di patata cruda e ripetuto l'esperimento riutilizzando gli oli per 10 volte. Il risultato è che quello d'oliva è stato l'olio più stabile per friggere a 160 e 190 gradi Celsius. L'olio di semi di girasole si è degradato più velocemente in padella a 180 gradi.
''Le proprietà fisiche, chimiche e nutrizionali degli oli si possono degradare quando questi vengono portati ad alte temperature e in alcuni casi i cambiamenti possono portare alla formazione di nuovi composti potenzialmente tossici'' si legge nello studio.
Le conclusioni della ricerca, che ha monitorato le variazioni in ognuna delle quattro tipologie di oli usati ad ogni passaggio, è che l'olio d'oliva mantiene più degli altri la propria stabilità e che i cibi in esso fritti risultano essere più sani.
Bibliografia e articolo originale (in inglese)
E’ noto che l’olio extravergine di oliva faccia bene ma adesso si sa anche come possa agire a livello genetico per tutelare chi ne fa uso dal cancro al colon-retto e su come riesca a influenzare in positivo la salute in relazione a ciò che mangiamo. Ricercatori italiani hanno dimostrato quello che già Ippocrate aveva intuito e predicava: la spremuta di olive è elisir di lunga vita. Quindi scudo preventivo. Ora si è visto che aumenta l’espressione del gene oncosoppressore Cnr1. Che è in grado di interagire con i geni, attivandoli o bloccandone l’espressione.
Le proprietà dell’«oro giallo»
Lo studio è stato condotto a da ricercatori dell’università Campus Biomedico di Roma e dall’università di Teramo, in collaborazione con l’università di Camerino e con il Karolinska Institute di Stoccolma. Il Journal of Nutritional Biochemistry ne ha divulgato i risultati: il cosiddetto “oro giallo” riduce il rischio di sviluppare il cancro del colon, perché il gene oncosoppressore Cnr1 è in grado di regolare i meccanismi all’origine delle alterazioni dei geni sensibili ai fattori ambientali, qual è la dieta. Adeguate quantità di olio extravergine d’oliva nell’alimentazione (così come predica la dieta Mediterranea) sono importanti per ridurre le alterazioni genetiche legate a ciò che si mangia. Spiega Mauro Maccarrone, biochimico del Campus Bio-Medico di Roma: «Abbiamo dimostrato uno dei meccanismi che rendono una dieta appropriata strumento di prevenzione dei tumori, ma anche di altre patologie diffuse, come i disturbi neurologici, l’obesità e il diabete».
“Le fritture fanno male? Ma quando mai! Basta friggere in modo corretto e – spiega il professor Vincenzo Fogliano, che ha coordinato lo studio – una patata fritta o una montanara diventano prodotti nutrizionalmente ottimi!”.
Maggiore perdita di peso e cambiamenti ormonali dopo 6 mesi di dieta con carboidrati consumati soprattutto a cena: è il titolo di uno studio del 2011 pubblicato su Obesity Journal.
Questo studio è stato progettato per indagare l'effetto di una dieta ipocalorica con carboidrati consumati principalmente a cena su parametri antropometrici, di fame/sazietà, biochimici e infiammatori. Sono state valutate anche le secrezioni ormonali.
Settantotto agenti di polizia (BMI >30) sono stati assegnati in modo casuale a diete sperimentali (carboidrati consumati prevalentemente a cena) o di controllo per la perdita di peso per 6 mesi. Nei giorni 0, 7, 90 e 180 sono stati raccolti campioni di sangue e punteggi di fame ogni 4 ore dalle 08.00 alle 2000. Le misure antropometriche sono state raccolte per tutta la durata dello studio.
Si è osservata una maggiore perdita di peso, circonferenza addominale e riduzione della massa grassa corporea nella dieta sperimentale rispetto ai controlli.
I punteggi di fame erano più bassi e sono stati osservati miglioramenti maggiori nel glucosio a digiuno, nelle concentrazioni medie giornaliere di insulina e della valutazione del modello di omeostasi per la resistenza all'insulina (HOMAIR), del colesterolo T, delle lipoproteine a bassa densità (LDL), delle lipoproteine ad alta densità (HDL), della proteina C-reattiva (CRP), del fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α) e dei livelli di interleuchina-6 (IL-6) rispetto ai controlli.
La dieta sperimentale ha modificato le concentrazioni giornaliere di leptina e adiponectina rispetto a quelle osservate al basale e a una dieta di controllo. Una semplice manipolazione dietetica della distribuzione dei carboidrati sembra avere ulteriori benefici rispetto a una dieta convenzionale per la perdita di peso nei soggetti affetti da obesità. Potrebbe anche essere utile per i soggetti affetti da insulino-resistenza e sindrome metabolica. Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare e chiarire i meccanismi attraverso i quali questo approccio dietetico relativamente semplice aumenta la sazietà, porta a migliori risultati antropometrici e ottiene una migliore risposta metabolica, rispetto a un approccio dietetico più convenzionale.
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